“L’ultima moda (in Inghilterra)? Il branding: marchiarsi a fuoco” recita il Corriere della Sera. “To brand”, tornato alla sua origine etimologica, quando la parola utilizzata adesso come “griffe” si riferiva al marchiare le proprie bestie per distinguerle dalle altre.
Una questione di riconoscibilità: anche in italiano, la “marca” era il segno di confine utilizzato nel Sacro Romano Impero per separare le proprie terre da quelle altrui: questi siamo noi, questi siete voi.
Un nome, un simbolo, o una combinazione di entrambi: questi elementi definiscono oggi un brand. La coerenza interna ed esterna con cui si presentano è garanzia della loro riconoscibilità: non posso confondere il cavallino Ferrari con quello Mustang, o i quattro cerchi Audi con il simbolo delle Olimpiadi. Sono due storie differenti.
Potere alle storie: un luogo con forte coerenza interna è ciò che nel mondo della narrazione è definito un “universo immaginario”. È un mondo coeso e distinto, unico nel contenuto e nel contesto rispetto alle storie che si è soliti conoscere, che serve come ambientazione per serie di opere narrative.
La coerenza interna di un mondo immaginario, e la sua riconoscibilità, è data dalle regole che lo governano: in Harry Potter la magia è parte della vita quotidiana, lo sappiamo tutti. “Impossibile - che baggianata”, è la prima risposta degli adulti, che poi sospendono l’incredulità per immergersi in questo mondo narrativo grazie alla stretta organizzazione che la Rowling ha dato al suo universo. I maghi ci sono, ma vivono nel loro mondo, hanno le loro scuole, le loro regole, e i loro problemi di ogni giorno.
Non importa se inizio a scoprire questo universo dal primo libro della saga di Harry Potter, o dallo spin-off in uscita in questi mesi “Animali fantastici e dove trovarli”: se i maghi convivono con noi babbani ma si nascondono, allora è l’universo creato dalla Rowling.
Una buona narrazione crossmediale funziona così: non importa il punto di contatto con cui vi entro, ne uscirò sempre soddisfatto perché avrò sempre ricevuto un’esperienza (una storia) completa.
Per questo motivo, più un brand è capace di fornire esperienze complete e uniche, più rimarrà scolpito nella mente di un individuo. Quando entro in un Apple Store l’unica cosa che vedo è il prodotto, quando apro il sito Apple la prima cosa che vedo, è il prodotto, quando acquisto da Apple, il prodotto definisce anche la forma della confezione con cui mi viene recapitato. Nulla è superfluo, tutto è incentrato sulla funzionalità e il design del prodotto. Per questo, di frequente, l’utente Apple descrive la sua esperienza “tutta un’altra storia”: think different.
Raccontare un brand è raccontare tanti piccoli pezzi di storie a se’ stanti, che si riferiscono sempre a uno stesso universo narrativo: per realizzare una buona narrazione crossmediale è necessario che ognuna di queste storie lasci un senso di compiutezza all’utente che ne fa esperienza. Più le regole che governano queste storie sono stringenti e coerenti tra loro, più ho garanzia della riconoscibilità e credibilità dell’universo a cui si riferiscono: sono disposto a credere alla promessa che il brand mi sta facendo, a sospendere la mia incredulità e proiettarmi nel suo immaginario.
L’accezione di “To brand” divisione possessiva (mio-non tuo) oggi ha perso: ciò che prevale è l’appartenenza. Anche io voglio far parte del vostro territorio, del vostro suggestivo immaginario, del vostro branco.
In Domino si occupa di storytelling digitale e social media. Nel mondo racconta ciò che gli piace da giornalista pubblicista. Internet è il suo habitat fin da bambino, quando toglieva il suono del modem 56k per collegarsi all’insaputa dei genitori. La cronologia delle ricerche Google ci dice che gli piacciono la cucina e i videogiochi.