“Vedo una vecchia signora, coi capelli ritinti, tutti unti non si sa di quale orribile manteca, e poi tutta goffamente imbellettata e parata d’abiti giovanili. Mi metto a ridere.”
Queste parole sono state usate da Pirandello per dare un’idea di che cosa fosse l’umorismo (o il ridicolo) per lui.
Se fosse ancora vivo, forse Pirandello riderebbe così anche di noi “digital”, certe volte. Quando non parliamo come mangiamo.
Parlo come mangio?
Tutti mangiamo la pizza. A volte però parliamo come se mangiassimo ostriche e caviale a ogni pasto.
A volte sentiamo il bisogno di sembrare di più. Di venderci “meglio”. Sia coi colleghi che col capo che coi clienti.
Ma spesso non ci accorgiamo che questo “meglio”, in verità, non è “meglio” affatto.
E non a livello etico o morale - in fondo non facciamo male a nessuno se vogliamo venderci “meglio” – ma a livello di pura utilità professionale.
Una prova di empatia
Quando siamo di fronte a un cliente, per esempio, che nella vita fa tutt’altro e del mondo digital ne sa quanto i nostri genitori (di solito poco), tutti i bei paroloni “english style” che ci piacciono tanto non vengono compresi. E questo li svuota di ogni utilità. Perché lo scopo della chiacchierata non era far pensare al cliente che siamo molto esperti, ma vendergli il progetto. E se non capisce ciò che gli stiamo vendendo, è poco probabile che lo comprerà. O, in futuro, che possiamo essere in linea sugli sviluppi del lavoro.
Ma anche quando siamo di fronte a colleghi, o altre persone che lavorano nel digital come noi, non è utile parlare come se mangiassimo sempre ostriche e caviale. Anzi, il rischio è quello di sembrare ridicoli come la vecchia imbellettata di Pirandello. Perché queste persone che abbiamo davanti lo sanno benissimo che non è il caso di usare parole tanto complicate.
Invece ci sono un mucchio di vantaggi se parliamo come mangiamo: per prima cosa è una prova di empatia, perché facciamo sentire a loro agio chi del digital ne sa poco.
Ma anche una prova di valore professionale: la dimostrazione che siamo in grado di dare idee concrete sui progetti, e semplificarne a priori la realizzazione.
So anche stare a tavola!
Come riassume bene Andrea Griva, Director of External Relations presso GEDI Gruppo Editoriale, Parla come mangi è capire i clienti, trovare soluzioni concrete (praticabili), spiegare al cliente cosa va fatto, e alla fine farlo davvero.
E attenzione, aggiunge lui: tutto questo non significa mancare di sofisticazione. Non implica il non saper stare a tavola.
La sfida nascosta
Ma cosa significa davvero “soluzioni concrete”?
Quando ci si muove nella dimensione nel digital, parlare di concretezza - per come viene comunemente intesa - fa quasi sorridere: con le mani non tocchiamo di fatto mai niente.
Per questo Cecilia, copywriter in Domino da più di un anno, ne parla un po’ come di una sfida: mantenere l’attenzione di qualcuno e far comprendere un concetto è una delle principali richieste che riceve per gestire la comunicazione interna di Stellantis, e non è così semplice come sembra.
Un altro modo per dirlo?
Anche Francesca, studentessa della scuola Holden, è d’accordo con noi sulla necessità di parlare come mangiamo, e ci regala una dritta per riuscire nell’intento: parlare di meno, agire di più.
Tutti mangiamo pizza
Potremmo concludere che Parla come mangi è un inno alla concretezza.
È raccontare storie e realizzare progetti nella dimensione del digital, ma in modo da essere concreti e chiari per tutti.
Parla come mangi come ammonimento, come sfida: uno dei primi principi nel nostro manifesto per il futuro.
Parla come mangi - e ricordati che tutti mangiamo la pizza.
Ha studiato filosofia, ha imparato che molte cose dipendono da come le racconti. In Domino è digital storyteller. Fuori Domino legge, e cerca di raccontare altre storie.